II sec. a.C.
La datazione precisa dell’apertura della Cava Romana di Aurisina è un tema complesso che si perde negli anfratti della storia. Purtroppo a causa dell’assenza di fonti storiche dirette o di iscrizioni inaugurali, l’avvio delle attività di escavazione deve essere ricostruito attraverso un’analisi incrociata delle testimonianze archeologiche ed epigrafiche.
Da questo esame emergono due ipotesi principali, entrambe credibili, che collocano l’inizio dello sfruttamento in momenti diversi ma strettamente legati all’espansione romana nell’alto Adriatico.
La datazione più comunemente accettata e prudente fissa l’inizio dell’estrazione su larga scala al I secolo a.C. Questa tesi si fonda su prove archeologiche inoppugnabili: alla fine di questo secolo, il calcare di Aurisina era già il materiale d’elezione per la monumentalizzazione di Aquileia e per la costruzione di opere pubbliche cruciali come le mura di Tergeste, erette per volere di Ottaviano tra il 33 e il 32 a.C.. L’impiego massiccio in contesti così importanti e datati con certezza dimostra che, in quel periodo, la filiera produttiva – dall’estrazione al trasporto via mare – era non solo attiva, ma pienamente operativa e organizzata su scala industriale.

Tuttavia, un’ipotesi più articolata ed oggi molto accreditata, retrodata l’inizio delle attività estrattive almeno al II secolo a.C., in diretta connessione con la fondazione della colonia di Aquileia nel 181 a.C. Questa interpretazione si basa su una lettura più geopolitica che strettamente materiale, suggerendo che l’apertura di un bacino estrattivo in un territorio carsico non ancora del tutto pacificato non fu un semplice atto economico. Appare piuttosto come una chiara manifestazione del potere di Roma, legata alla necessità di consolidare il proprio dominio nella zona. Lo sfruttamento di una risorsa così importante come il marmo di Aurisina presupponeva infatti un sufficientemente solido controllo del territorio circostante visto che la cava distava 30km dalla colonia ed era uno dei presupposti essenziali per assicurarsi i materiali necessari alla propria crescita monumentale. Per “fondazione di Aquileia”, del resto, non si intende il primo insediamento, ma la cosiddetta deductio ovvero un processo urbanistico pianificato dal Senato volto a consolidare giuridicamente una realtà preesistente. Uno dei passaggi chiave della deductio era il tracciamento del sulcus primigenius, un solco sacro che segnava il perimetro dove avrebbero avuto il via i lavori di edificazione delle mura in pietra della città (a rito concluso). È quindi estremamente ragionevole presupporre che una fonte di approvvigionamento stabile per la pietra, come la Cava Romana di Aurisina, fosse già accessibile e ben operativa prima di quest’atto fondativo e ciò rende la datazione al II secolo a.C. del tutto plausibile.
Ulteriore fulcro del dibattito risiede anche nell’analisi dei più antichi manufatti lapidei di Aquileia. In passato, alcuni studiosi sostenevano che i primi monumenti fossero realizzati in arenaria o in pietre istriane importate via mare, proprio perché il controllo sull’entroterra carsico, nel confronto, non era ancora così ben consolidato. Le moderne analisi archeometriche, però, hanno ribaltato questa visione e studi petrografici su numerose stele e are funerarie aquileiesi, anche molto antiche, hanno confermato che il materiale utilizzato è proprio il Marmo di Aurisina. Questo dato è cruciale: l’epigrafia funeraria, con la sua vasta e continua domanda, fu uno dei sicuri motori economici delle cave. La presenza del calcare locale fin dalle prime fasi della produzione epigrafica aquileiese suggerisce quindi che lo sfruttamento dei giacimenti iniziò ben prima del I secolo a.C. ponendo in quel periodo la fondazione della nostra Cava Romana.
FONTI
https://www.fondazioneaquileia.it/files/allegati/aquileia_citta_di_frontiera.pdf
https://museoarcheologicoaquileia.beniculturali.it/wp-content/uploads/2020/06/1sulcus-1.pdf
https://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=1833