I sec d.C.
Un esempio che sicuramente aiuta a comprendere ancora meglio le possibilità e la capacità commerciale d’impresa della Cava Romana di Aurisina nella sua prima apertura durante la Roma Antica è dato sicuramente dai ritrovamenti di alcuni frammenti di un imponente alzato di una colonnata in stile corinzio oggi presente nella Piazza Maggiore di Este. Questi resti non sono semplici vestigia di un passato remoto, ma le sillabe di un discorso architettonico oltre che politico abbastanza preciso. Realizzati in Pietra di Aurisina e databili tra l’età augustea e quella giulio-claudia, questi resti appartenevano a un edificio pubblico nel centro dell’antica Ateste (oggi Este PD)
Tale edificio, di dimensioni abbastanza considerevoli, 33mt x 12,2mt, affacciava direttamente sul foro romano. Oggi è difficile a distanza di quasi 2000 anni avanzare ipotesi sulla funzionalità specifica di tale edificio tuttavia la presenza della pietra di Aurisina, in una località così lontana ci aiuta a porci delle domande: perché l’élite di una città veneta, da poco pienamente integrata nello stato romano, scelse di approvvigionarsi di un materiale specifico, proveniente da cave distanti, per monumentalizzare il proprio centro civico?

La risposta trascende la mera funzionalità edilizia per addentrarsi, verosimilmente, nelle dinamiche di potere, commercio e ideologia che definirono la romanizzazione dell’Italia settentrionale.
Per comprendere la portata di questa commessa, è necessario contestualizzarla nel momento storico di Ateste. Divenuta colonia romana sotto Augusto, la città vide l’insediamento di veterani delle legioni e un profondo rinnovamento urbanistico. La costruzione di un foro monumentale non era solo un’esigenza amministrativa, ma un atto di auto-rappresentazione, il modo in cui la città affermava la sua nuova identità e il suo status all’interno dell’Impero. In questo contesto, la scelta dei materiali, di norma, non era casuale. L’uso del marmo, soprattutto nel mondo romano, era un potente strumento ideologico, un linguaggio che esprimeva prestigio, ricchezza e adesione alla cultura imperiale. La Pietra di Aurisina non era un semplice calcare, ma il materiale d’elezione per le grandi opere pubbliche di Aquileia e Tergeste, le metropoli che dominavano la regione. Scegliere questa pietra per il foro di Ateste significava, probabilmente, per la sua classe dirigente, allinearsi visivamente e simbolicamente ai centri del potere, importando non solo un materiale, ma un’intera semantica di maiestas e romanità.
È in questo scenario che si inserisce la filiera produttiva della Cava Romana di Aurisina, un’impresa che, come suggeriscono i ritrovamenti archeologici, era già organizzata su scala industriale e con un modello gestionale sofisticato. È possibile pertanto ipotizzare con verosimiglianza il processo che portò la Pietra di Aurisina fino ad Ateste. La commessa non fu una semplice transazione di materiali, ma molto più probabilmente un negoziato tra élite. I magistrati di Ateste, o alternativamente un ricco patrono locale inserito nella Amministrazione della res publica, non si sarebbero recati soltanto in cava ma piuttosto nella lussuosa villa padronale che fungeva da quartier generale dell’impresa estrattiva di allora. È lecito immaginare il dominus della tenuta di Aurisina, un imprenditore la cui ricchezza derivava dal controllo di questa risorsa geologica, accogliere i committenti atestini nelle sue sale per definire i termini di una fornitura imponente: rocchi di colonne, capitelli e blocchi per l’architrave, tutti da cavare e lavorare secondo le specifiche del progetto.
Una volta siglato l’accordo, si attivava una complessa catena logistica. Le squadre di lapicidae specializzati tagliavano e sbozzavano i massicci blocchi di calcare, che venivano poi trasportati verso la costa. Da qui, il vantaggio strategico della Cava Romana di Aurisina diventava decisivo: il trasporto marittimo, enormemente più economico di quello terrestre, permetteva di caricare il materiale su navi onerarie che potevano raggiungere il porto di Brundulum (l’odierna Brondolo) e da lì, risalendo l’Adige, arrivare fino ad Ateste.
La costruzione del colonnato nel palazzo, dunque, non fu solo un’impresa edilizia, ma la manifestazione fisica di una rete economica e politica che legava non solo le città della Regio X ma anche dava prova dell’allora Area Strategica di Affari (ASA o Business Area) della Cava Romana di Aurisina. Per Ateste, l’utilizzo del marmo rappresentò il culmine del suo processo di romanizzazione, un modo per iscrivere letteralmente nel marmo la propria lealtà e il proprio prestigio; dall’altro lato, per il dominus di Aurisina, fu un’ulteriore affermazione del suo potere economico: la dimostrazione che la sua impresa era in grado di soddisfare la domanda non solo dei mercati più vicini come Aquileia, ma anche di centri più lontani, alimentando la trasformazione monumentale di un’intera regione. I frammenti oggi ben visibili a Este, quindi, non ci parlano solo di un edificio scomparso, ma di un microcosmo di ambizione civica, capacità imprenditoriale e di impresa ed integrazione culturale che fu il vero basamento dell’Impero Romano.
FONTI
https://www.crucianellirestauri.it/portfolio/reperti-archeologici/
http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2015-337.pdf
https://books.google.com/books?id=PwwyEAAAQBAJ&pg=PA246&lpg=PA246
https://www.treccani.it/enciclopedia/este_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/
https://www.venetostoria.com/la-romanizzazione-del-veneto/
https://tesi.cab.unipd.it/65489/1/La_viabilit%C3%A0_romana_nel_territorio_padovano_analisi.pdf
https://www.brepolsonline.net/doi/abs/10.1484/J.JRA.5.101740
https://www.academia.edu/3793740/I_marmi_e_le_pietre_colorate_della_Regio_X_Venetia_et_Histria_
https://www.academia.edu/6487192/Il_sistema_portuale_della_Venetia_orientale