33-32 a.C.
Come già accennato in precedenza, la pietra di Aurisina s’inserì nel processo di romanizzazione non solo del Nord-Est italiano, ma anche nella storia di Tergeste, l’odierna Trieste, in un percorso che culminò con un’operazione di monumentalizzazione voluta direttamente dall’imperatore Augusto. La costruzione di una cinta muraria in età augustea (33-32 a.C.) non fu un semplice atto difensivo, ma un’azione strategica di Roma, che proiettava la sua influenza fino ai confini orientali dell’Italia. Questa datazione è attestata da due antiche iscrizioni lapidee, incise su blocchi di Pietra di Aurisina e rinvenute in frammenti nel giardino Czvietovich e in una casa di via della Corte. L’epigrafe, oggi conservata nel Lapidario Tergestino, riporta una ricostruzione del testo originale:
“[I]mp(eratore) Caesare, imp(eratore) V, III[viro r(ei) p(ublicae) c(onstituendae) iter(um)], co(n)s(ule) de[sign(ato) tertium]… murum turresque fecit”. La traduzione completa dell’iscrizione chiarisce i titoli di Ottaviano: “Sotto l’imperatore Cesare, figlio del Divo [Cesare], comandante per la quinta volta, triumviro per la fondazione dello stato per la seconda volta, console designato per la terza volta, costruì un muro e delle torri“.
L’impiego della Pietra di Aurisina a Tergeste non fu unicamente dettato dalla vicinanza logistica della Cava Romana, ma fu una scelta ponderata e multiforme che bilanciava funzionalità, estetica e prestigio.
Questa preferenza si basava su una logica profonda. Dal punto di vista strutturale, il calcare di Aurisina si distingueva nettamente dagli altri materiali locali usati all’epoca poiché presentava un’elevatissima resistenza all’usura, al gelo e al ristagno di umidità, con un bassissimo coefficiente di imbibizione che ne garantiva la durabilità nel tempo. Per questo motivo, era il materiale ideale per le strutture che richiedevano la massima solidità e resistenza, come i grandi monumenti e, verosimilmente, le porte della cinta muraria.
Oltre alla superiorità tecnica, la scelta, verosimilmente, era motivata da ragioni estetiche e simboliche. La pietra di Aurisina con il suo colore grigio chiaro e con la sua finissima grana era vista come una pietra di pregio. Questa tonalità chiara le conferiva un aspetto più nobile e solenne rispetto alle altre pietre locali e consentiva un allineamento tra l’architettura di Tergeste e quella delle grandi capitali dell’Impero che avevano sempre privilegiato il candore del marmo. Utilizzare la stessa pietra di Aquileia era un segno di status e di appartenenza al progetto di monumentalità augustea. La pietra stessa, con le sue qualità intrinseche e la sua provenienza, fungeva da linguaggio silenzioso che comunicava che la città non era più un semplice avamposto, ma una colonia integrata e prospera, degna di partecipare al grande disegno imperiale.
La frammentarietà dei resti archeologici rende la ricostruzione del circuito murario un’operazione complessa. Sebbene un tratto di muro nell’Antiquarium di Via del Seminario sia stato edificato in altra pietra, con un riempimento interno “a sacco”, la Pietra di Aurisina fu riservata per gli elementi di maggiore rilievo strutturale e simbolico. Ne sono testimonianza, ad esempio, i frammenti dell’iscrizione delle mura e il recente ritrovamento, negli scavi di Via di Crosada, di un complesso di quattro colonne realizzate in questo calcare, probabile parte di un monumentale arco. Questo dimostra l’esistenza di una strategia costruttiva differenziata, in cui i materiali venivano scelti in base alla loro funzione e al loro prestigio.
Contrariamente alle suggestive ma inaccurate ricostruzioni ottocentesche, l’esatto tracciato delle mura augustee non è noto e non aveva una forma triangolare. Questa conformazione, con il vertice sul Colle di San Giusto, è una caratteristica delle successive mura medievali, edificate nel XIV secolo d.C. di cui rimangono resti in via delle Mura e via Felice Venezian. Il percorso della cinta romana, invece, si discostava dal modello ortogonale, adattandosi probabilmente all’orografia del terreno. Una delle ipotesi accademiche più recenti propone un tracciato più irregolare che si adatta all’andamento del colle. Questo palinsesto urbano, dove le mura in età augustea persero la loro funzione difensiva per divenire strutture di contenimento e terrazzamento con l’espansione della città, è cruciale per comprendere lo sviluppo di Tergeste e per distinguere la cinta augustea da quelle successive, come l’imponente fortificazione datata al IV secolo d.C. rinvenuta negli scavi di Via di Crosada e Via dei Capitelli.
I reperti legati alla cinta muraria e all’urbanistica di Tergeste sono conservati principalmente nei musei civici di Trieste. Il Lapidario Tergestino, all’interno del Castello di San Giusto, espone i monumenti e le iscrizioni commemorative che hanno permesso la datazione delle fortificazioni. La ricerca archeologica in corso, che ha portato a nuove scoperte come i resti di una grande piazza pubblica del I secolo d.C., dimostra che la conoscenza della Tergeste romana è un processo dinamico e in continua evoluzione.
FONTI
https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/trieste-tergeste-le-mura-di-eta-augustea/
https://www.beniculturali.it/luogo/antiquarium-di-via-del-seminario
https://fastionline.org/docs/FOLDER-it-2015-337.pdf
http://castellodisangiusto.comune.trieste.it/il-lapidario-tergestino/