VII sec. – XVIII sec.
La storia dell’estrazione e dell’impiego della pietra di Aurisina tra il VII e il XVIII secolo d.C. non è un racconto di oblio, ma piuttosto un’analisi complessa delle dinamiche che ne hanno determinato una profonda trasformazione. L’attività estrattiva, infatti, non cessò del tutto, ma mutò radicalmente la sua scala e la sua funzione, adattandosi a un contesto storico, politico ed economico che ne ha segnato tanto il declino quanto, infine, i prodromi di una rinascita.
Nel periodo successivo al crollo dell’Impero Romano d’Occidente, la Cava Romana di Aurisina perse la sua imponente committenza e la sua rete logistica centralizzata. L’industria, precedentemente orientata alla produzione di materiale monumentale per città come Aquileia e Roma, si ridimensionò drasticamente. Le fonti documentano come, in questo contesto, la pietra giunse in luoghi come Venezia prevalentemente sotto forma di spolia, cioè elementi architettonici romani riutilizzati e/o rilavorati in un nuovo contesto edilizio. Un’evidenza archeologica cruciale di questa pratica è una lastra in pietra di Aurisina, di origine romana, rinvenuta nelle fondamenta dell’abside maggiore della Basilica di San Marco, a testimonianza del suo reimpiego nella complessa vicenda costruttiva della basilica stessa. Questo utilizzo di recupero non era una soluzione di ripiego, ma una risposta pragmaticamente diffusa in un’epoca di contrazione demografica e crollo delle rotte commerciali consolidate, in cui il valore del materiale persisteva attraverso il suo riuso.
Tuttavia, l’attività estrattiva non si limitò al solo recupero. La ricerca ha portato alla luce prove convincenti di un’estrazione continua, sebbene su scala ridotta. Il gruppo scultoreo dell’Adorazione dei Magi del XIII secolo, oggi conservato nel Seminario Patriarcale di Venezia, è un esempio emblematico. Queste figure furono scolpite ex novo in pietra di Aurisina per la Basilica di San Marco, confutando l’ipotesi di una totale interruzione delle attività di cava. L’esistenza di una produzione artistica di alta qualità in un periodo così lontano dal fasto romano suggerisce che la cava, pur in un contesto di ristrettezze, fosse ancora operativa per committenze specifiche. Ulteriori indizi si trovano nell’architettura civile veneto-bizantina, dove la presenza di “cornici ed elementi marcapiano di cavatura tardo-medievale” in case e palazzi a Venezia rinforza l’idea che l’attività estrattiva non fosse completamente cessata, ma semplicemente ridotta a un’attività di nicchia.
La progressiva crisi e l’incapacità politica di garantire la sicurezza e la stabilità del territorio sono le cause più probabili della significativa riduzione dell’impresa. Dal XIV al XVII secolo, il Carso triestino si trovava in una condizione di profonda instabilità, fungendo da “Stato cuscinetto” in un’area di confine perennemente contesa tra la Repubblica di Venezia e l’Impero Asburgico. Questa frammentazione del potere si tradusse in una devastante insicurezza territoriale, aggravata dalle ripetute e feroci scorrerie turche (akinci) del XV secolo. Tali incursioni, mirate al saccheggio e alla cattura di schiavi, decimarono la popolazione e il tessuto sociale dei villaggi, paralizzando la manodopera necessaria per l’estrazione e annientando i mercati locali. Contemporaneamente, l’antica rete viaria romana cadde in rovina, sostituita da mulattiere inadatte al trasporto di materiali pesanti e costantemente soggette a pedaggi imposti da signorie locali. A questo quadro di difficoltà si aggiunse la scelta strategica di Venezia, che, avendo annesso gran parte dell’Istria occidentale e meridionale, ottenne il controllo di un’altra risorsa lapidea che le consentiva un approvvigionamento costante da un territorio più saldamente controllato rispetto a quello della Cava Romana.
Nonostante queste avversità, il XVIII secolo segnò un punto di svolta. L’istituzione del Porto Franco di Trieste nel 1719 da parte dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo gettò le basi per una rinascita economica e un nuovo fervore edilizio. Questo cambiamento di rotta si riflette in opere come il Palazzo Pitteri a Trieste, costruito nel 1780, che con i suoi elementi architettonici in pietra, come balaustre e bugnato liscio a fasce, rappresenta un preludio al massiccio impiego della Pietra di Aurisina nel successivo “periodo d’oro” sotto l’Impero Austroungarico.
FONTI
https://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=4
https://restituzioni.com/opere/adorazione-dei-magi-4/
https://it.wikipedia.org/wiki/Incursioni_turche_del_Friuli
https://www.regionestoriafvg.eu/tematiche/tema/474/Le-incursioni-turche-in-Friuli-nel-secolo-XV
https://www.openstarts.units.it/bitstreams/dfab6709-f18d-4547-8405-8ae13a1904df/download
http://www.assomarmistilombardia.it/articoli/index.php?id=210
https://portoftrieste300.com/storia/
https://museorevoltella.it/opere/la-proclamazione-del-porto-franco-di-trieste/
https://www.turismofvg.it/palazzo-pitteri
