1930
Nel vasto programma di opere pubbliche che ridefinì il volto delle colonie italiane negli anni Trenta, la costruzione della sede della Banca d’Italia a Tripoli si impose come uno degli interventi più significativi. Non si trattava semplicemente di edificare una banca, ma di erigere un bastione di prestigio e stabilità economica nel cuore della Libia, un monumento che doveva comunicare la solidità e la potenza dello Stato italiano. Per un’architettura di tale importanza, la scelta del materiale divenne un messaggio essa stessa: fu così che la Pietra di Aurisina varcò il Mediterraneo per diventare ambasciatrice di eccellenza costruttiva e di autorità.
Il progetto, espressione del gusto monumentale dell’epoca che fondeva classicismo e modernità, richiedeva un materiale che potesse essere plasmato in forme potenti e che al contempo portasse con sé il prestigio della madrepatria. La Pietra di Aurisina, fornita dalla Cava Romana, rispose perfettamente a questa esigenza. Il suo impiego non fu unicamente una scelta tecnica, ma un atto politico e culturale: trasportare tonnellate di questo pregiato marmo dalle cave del Carso fino in Nord Africa significava esportare un simbolo di eccellenza italiana, un frammento del territorio nazionale per costruire un avamposto del potere nel Mediterraneo.
Nell’edificio tripolino, ultimato attorno al 1930, la Pietra di Aurisina fu impiegata per definire le imponenti facciate e i solenni spazi interni. La sua solidità e la sua estetica severa ma luminosa erano perfette per materializzare l’immagine di sicurezza e perennità che una banca d’emissione doveva proiettare. L’opera divenne così un punto di riferimento nel panorama dell’architettura coloniale, un esempio di come la qualità dei materiali nazionali fosse un elemento fondamentale nella strategia di rappresentazione del prestigio italiano oltremare.
La presenza della Pietra di Aurisina a Tripoli rimane quindi una testimonianza storica di grande interesse, simbolo di un’epoca in cui questo materiale non era considerato solo una risorsa locale, ma un vero e proprio emblema di identità nazionale, degno di rappresentare l’Italia nei suoi territori più lontani.
